Vecchiaia, un male moderno

cannata
“Mio padre sta morendo di vecchiaia, una malattia che non esiste” (-Cheyenne-frase tratta dal film “This must be the place” di P. Sorrentino, Medusa film 2011)
Agra, malinconica, angosciosamente temuta, ma a volte desiderata veementemente la vecchiaia è per definizione l’ultima parte del ciclo vitale, l’età prossima alla morte. Dopo il fervore della giovinezza e il dinamismo dell’età adulta, il corpo inizia a cedere lentamente allo scorrere impassibile del tempo , le ossa si assottigliano e si indeboliscono, il ritmo cardiaco passa da un movimentato prestissimo al solenne largo, la decadenza diviene inarrestabile.

Ma è certo che anche lo spirito si deteriori a tal punto da rendere l’uomo un arido vegetale, un peso inutile per la propria famiglia e la società e che, insomma, l’individuo perda ogni connotazione umana? Questa è ormai la più accreditata teoria sulla senilità, considerata una terribile malattia senza alcuna cura a lungo termine.
Nell’epoca moderna sfugge il suo vero significato molto caro ,invece, agli antichi. L’anziano ,infatti, in passato costituiva il cuore, l’asse portante della società: figura autorevole, fonte di saggezza, guida per i giovani ancora in cerca di una direzione, era rispettato “con maggior cura, quanto migliori erano i costumi della città”. I capelli bianchi , le rughe erano medaglie da mostrare con fierezza. (Cicerone, De Senectute o Cato Maior ,XVII ). L’esperienza donava sapienza e straordinaria autorevolezza, frutto di una vita vissuta con onestà e la paura della fine era attenuata dalla consapevolezza di aver vissuto a pieno la vita e di avere fondamentale importanza per la comunità. La vecchiaia ,come affermava Seneca nelle Lettere a Lucilio , era un’età stanca, ma non affranta in cui solo il corpo avvertiva le ingiurie del tempo, mentre l’animo, vigoroso, finalmente viveva la sua età fiorita. Lo spirito continuava a ruggire, anzi dopo anni di labor limae viveva il suo periodo di massimo splendore , nonostante il corpo fosse scalfito dal passare del tempo. L’anima nata vecchia finalmente diventava giovane ( Oscar Wilde).
Oggi invece pensando alla senilità per prima cosa si è pervasi da un profondo e devastante terrore. La paura di cambiare, della malattia, di non avere più la forza di affrontare le piccole cose della quotidianità, di diventare un peso ed essere abbandonati a se stessi senza poter in alcun modo reagire impietriscono l’individuo, facendogli prendere consapevolezza della propria vulnerabilità e impotenza. ” Morirò d’incidente stradale, perché in un letto non ci voglio impazzire (…) morirò senza fare del male, morirò sull’Aurelia senza aspettare.”( “Morirò di incidente stradale” -I Gatti Mezzi – testo di T. Novi, tratto dall’album Berve fra le berve- SAM 2011) Meglio andarsene subito, nel pieno della giovinezza, senza dover affrontare un lungo calvario dopo: nemmeno la dolce melodia jazz del brano dei pisani “I Gatti morti” riesce a smorzare l’amarezza di un desiderio ormai comune a molti. Questo si è diffuso a tal punto anche a causa dell’atteggiamento della società nei confronti delle persone anziane. “Superata l’età lavorativa, non può più far parte del meccanismo produttivo (…), finché conserva una funzione attiva all’interno del nucleo familiare (…) è accettato e tollerato, ma quando (…) non si ha più bisogno della sua presenza diventa un peso inutile e gravoso.” (C. Benozzo -Panorama di attualità anziani) , l’anziano nel secolo corrente vive il dramma della solitudine e dell’abbandono. La società lo ignora completamente, la famiglia se ne sbarazza, affidandolo alle cure spesso grossolane di badanti o “parcheggiandolo” in un ospizio, in cui a volte il trattamento è disumano. Si sente a tal punto la mancanza di calore umano da lamentare dolori o malanni immaginari per ricevere le visite dei parenti. Per questo anche la voglia di vivere lentamente abbandona l’individuo, usato, calpestato e gettato via come se fosse un oggetto.
Come si può trattare così barbaramente le persone più care che si hanno, nonni o genitori che per una vita si sono sacrificati per la loro famiglia? L’uomo moderno con il suo comportamento è riuscito a emarginare i capi saldi della comunità, a farli apparire come fastidiose zavorre e a far diffondere impetuosamente il desiderio di morire a 30 anni. E’ però fondamentale ricordare che la vita è fatta per essere vissuta nella sua completezza, non può essere stroncata vanamente per terrore, specialmente dopo secoli di lotte per allungarne la durata, e deve essere gustato e affrontato con forza ogni singolo attimo. Gli anziani, aldilà della loro improduttività lavorativa, sono la vera ricchezza della società: custodiscono dentro di loro preziose e impagabili lezioni di vita , sapienza ancestrale, insegnano a non ripetere futili errori del passato e si deve ricominciare a portare loro il dovuto rispetto o perlomeno a trattarli come uomini quali sono, smettendo di considerarli oggetti senza più valore, da gettare il più lontano possibile e soprattutto di emarginarli.
Se si affermasse nuovamente questo concetto legato alla senilità forse nessuno sulla Terra vorrebbe più “morire di incidente stradale”.
Maria Chiara Cannata III A

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